GIUSEPPE D’ALONZO, “STRANE FORME DI COMPLICITA’ ” ancora l’italiano per il suo nuovo disco

GIUSEPPE D’ALONZO, “STRANE FORME DI COMPLICITA’ ” ancora l’italiano per il suo nuovo disco

Dai Crabby’s al resto d’Italia questa volta. Sembra tornare ad una dimensione casalinga Giuseppe D’Alonzo per quanto il suono di questo disco richiama quei doposcuola di provincia, primordi di una grande energia spirituale prima ancora che tecnica. E lui, autore, cantautore ma soprattutto chitarrista, fa planare la sua nostalgia nel temo “lento” di questo disco acido e melodico allo stesso tempo. “Strane forme di complicità”, di cui la title track si arricchisce anche di un bellissimo video diretto e disegnato da Michele Bernardi, dimostra un retrogusto post-apocalittico a cui ormai stiamo sempre più facendo l’abitudine… come si suol dire. Ci piace questo morbido essere pop, questo quotidiano essere cantautore e quell’immortale bisogno di psichedelia, leggera, gentile, comoda e sospesa. Niente di nuovo ma neanche niente di scontato.

Quante strane forme ha la complicità quotidiana. Possiamo parlare di concept album in merito a questo tuo nuovo lavoro?

Il termine complicità può avere delle accezioni accattivanti e positive , come la complicità d’intesa tra amanti, amici, ma può diventare particolarmente svilente quando a credere che ci sia complicità sia solo una delle due parti, peggio ancora quando l’altra parte e’ un profilo social. L’era moderna ha creato questa nuova entità virtuale, e come sappiamo quando si crea qualcosa essa prende vita, forma e influenza il contesto.

Ed ecco che spuntano gli influencer e inevitabilmente coloro che seguono l’onda senza pensarci, tanto “forse è solo un altro Like…” È assolutamente concept album, è un viaggio onirico attraverso il mondo dei miei sogni. Tratta temi sempre in modo allegorico, quali le dipendenze, le fragilità, l’ego, la morte, restituendo un punto di osservazione sulla deriva della società del consumismo nella quale il consumatore stesso si tramuta in prodotto

Ho cercato un canale di comunicazione meno razionale , meno saturo dal quotidiano bombardamento mediatico, ma più ricco di metafore e suggestioni. La legge viene vestita da donna e descritta come un essere fragile, terrorizzato dal fardello che ormai non riesce più a sorreggere, la nostra libertà. La sensibilità viene eletta ad eroina e accostata ai tanti “fragili eroi” che combattono per l’integrità, l’etica e l’amore ormai da troppo tempo calpestati o banalizzati. Molti elementi vengono presi in prestito per restituire all’ascoltatore un viaggio fedele nell’immaginario dei miei sogni.

Ci sono nuvole animate, ci sono draghi e conti dalle facili allusioni politiche , castelli, labirinti , fumi che ci confondono, ma soprattutto ci sono esseri viventi dalle sembianze umane con la testa a forma di display che proietta un hashtag a simbolo della completa omologazione a cui stiamo approdando.

Ma sono complicità o dipendenze? Il confine è assai sottile…

Esatto, uno dei concetti che esprimo nell’album è proprio questo gioco tra le complicità, le dipendenze e i rari momenti di sobrietà in cui cerchiamo di tenere le fila di tutto. Nulla o poco ha che vedere con le sostanza stupefacenti, che a volte , capisco, possono aiutare una società così bulimica e apparentemente iperattiva. Lo dico apertamente in Sober “I have to dream to stay sober” devo sognare per rimanere sobrio. I sogni possono venirci in soccorso mostrandoci strade alternative, alienando il pensiero razionale ormai divenuto il non pensiero e restituendoci la forza per creare un nuovo modello di società in cui si rimettano al centro gli esseri viventi, non i consumi .

Un disco onirico come spesso ci ha abituato il tuo pop d’autore. Perché queste radici? A cosa devi questa direzione artistica?

Quando la musica mi viene “a trovare” e incontra i miei pensieri vengo proiettato in un mondo apparentemente di fantasia in cui personaggi e situazioni della vita reale mi appaiono come caricature, a volte dalle simpatiche sembianze, altre volte un po’ meno. È spesso cosi’ che nascono le storie dalle quali sintetizzo i testi, o da cui traggo ispirazione per un video. Mi lascio sempre trasportare da ciò che mi attira, mi piace e mi fa stare bene, non ho mai ragionato su una direzione artistica da intraprendere, mi sono sempre lasciato guidare dalla musica e dalle storie, ottimi compagni di viaggio.

“Tornerà” e “Strane forme di complicità” sembrano figli della stessa ondata di ispirazione o sbaglio?

Pur essendo usciti ad un solo anno di distanza in realtà “Tornerà” è un disco molto intimo in cui metto a nudo i miei sentimenti, rivelo con un video assai originale lo studio in cui scrivo le canzoni, se vogliamo è anche una fotografia che ritrae un periodo della mia vita e di cui faccio un onesto resoconto. C’è ad esempio un brano dedicato al quartiere di Roma che più amo “Monteverde vecchio” in cui ho vissuto sette bellissimi anni. “Il pensiero sovrano” esprime tutta la forza che in giovane eta’ abbiamo a disposizione e utilizziamo per realizzare i nostri sogni.

“Tornerà” è un elogio alla nostalgia ma anche un inno all’amore, con il passare degli anni, schiacciati dall’operatività, veniamo salvati da questa forza sovrumana che ci permette di respirare anche dove l’ossigeno è rarefatto , consumato dalle fiamme che bruciano ogni giorno ettari e ettari di animo umano, rendendo sempre più arido il terreno in cui nostro malgrado viviamo.

“Strane forme di complicità” è invece un album in cui non parlo di me, anzi mi faccio proprio da parte, ma tratto temi sociali, al centro c’è proprio la deriva della nostra moderna società come filo conduttore di tutto il lavoro.

Parliamo di suono… cosa cercavi di raggiungere di diverso dal resto della tua produzione?

I miei precedenti lavori in inglese erano incentrati quasi sempre sulla chitarra elettrica, strumento principe del rock/blues a cui sono tanto affezionato. Nei lavori in italiano ho usato di pià chitarre acustiche, pianoforte, ho introdotto la viola, un po’ di synth, ho intensificato l’uso dello slide per assoli e accompagnamenti elettrici, trovando, come in “Sober”, soluzioni e tecniche di slide davvero particolari di cui vado molto fiero.

Ho cercato un compromesso tra il rock elettrico che mi scorre nelle vene e il raffinato cantautorato italiano. Credo di essere riuscito nell’intento di esprimere la musica che avevo in testa in un modo diverso dai precedenti album, esprimendo il mio stile cantautorale italiano.