Feel Spector – il loro album omonimo

Feel Spector – il loro album omonimo

Un rock psichedelico d’altri tempi quello contenuto nell’album dei Feel Spector, band italiana fondata dai chitarristi Fab Valley e Gab Chi che ricoprono, rispettivamente, anche il ruolo di cantante e tecnico del suono. Lo si sente subito, dopo i primi secondi. Sembra di stare ascoltando qualcosa che viene dal passato con la qualità della musica del nuovo millennio e deliziosi interventi elettronici.

Un’anticipazione della magia che sono riusciti a creare l’abbiamo avuta già osservando la cover del disco: contrasti forti di sanguigno rosso su fondo nero. E si respira proprio aria di un tempo in questa opera prima dei Feel Spector la cui pronuncia è la stessa di Phil Spector (il produttore e musicista newyorkese morto nel gennaio di quest’anno per complicanze legate al Covid). Forse non a caso la foto in copertina è quella di una lava lamp, oggetto cult del design a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, e la sensazione è quella di vedere macchie di sangue…

Nei ritmi dall’innegabile resa sonora vintage, l’intervento di femminili cori (le Spectorettes) rende tutto molto più credibile senza, ricordiamolo, rubare spazio all’innovazione. Feel Spector non è assolutamente uno dei tanti dischi fotocopia di fanatici del rock psichedelico datato ma semplicemente trae ispirazione da questo rivisitandolo e arricchendolo di influenze che potremmo ricercare nello spacerock, nello shoegaze o nel protopunk. Incredibile la stimolazione cerebrale in Bodhi Waves, da ascoltare nel totale silenzio avvolti in cuffie di qualità per cinque minuti in volo verso l’eternità.

Il disco comincia però con un preludio che ci fa intuire qualcosa senza svelare. Meno di mezzo minuto per Nine Degrees prima di buttarsi su I’m Goin’ Home che diventa il vero biglietto da visita di questo LP già a partire dai 30 secondi del nostro cronometro quando l’effettistica usata per le tracce vocali inizia a parlare chiaro. Non c’è nulla fuori posto in questo brano di quasi 6 minuti. Segue You Little Doll che non tradisce le aspettative. L’ambiente sonoro si mantiene vivo con un pezzo che ci fa dondolare sulla poltrona. Armatevi di una buona birra per questo disco ragazzi. Da bere in bottiglia, ovviamente!

In Seacide, la quarta traccia del disco, sentiamo una maggiore sperimentazione e qualche fievole richiamo di pinkfloydiana natura. Molto strumentale, testo compatto e cori che aprono tantissimo il suono di questo pezzo.

Ci risveglia un po’ il beat Pink Pale Toes che nei suoi 8 minuti di durata riesce a non essere per nulla noiosa (il rischio è sempre elevato vista la durata media della musica attuale a cui, sicuramente, il rock dei Feel Spector si ispira molto poco). In piena sintonia con il genere, comunque. Il basso fa un gran bel lavoro, cambi interessanti e, ancora una volta, cori saggiamente dosati. Ottimi gli effetti scelti per la chitarra.

Have You Ever Seen the Light? Sì, ce la state mostrando. Nulla da aggiungere. Un pezzo sicuramente da ascoltare più volte. Dovremmo dire che forse è troppo breve! Ma ci sta.

Il penultimo brano di questo LP tutto da ascoltare è Slightly All Night che forse è quello che si discosta un po’ di più dall’intero progetto, ma non di molto. E si trova certamente nella posizione giusta, prima della chiusura, offrendo un cantato alla Bob Dylan e delle interessantissime melodie di chitarra.

Si finisce con We’ll Let You Know. Un brano che ha un vago sapore scottish e che ci spinge ad affinare l’orecchio per apprezzare tutta la stratigrafia sonora che compone la parte iniziale. Intorno ai tre minuti il pezzo prende ritmo pur mantenendo un indiscutibile fascino che ci accompagna ad una degna chiusura del disco, con cori mai fuori luogo.

Link acquisto del disco:

Bandcamp – https://feelspector.bandcamp.com/